“Colpo di frusta”, la Cassazione cambia rotta: è necessario l’accertamento strumentale

“Colpo di frusta”, la Cassazione cambia rotta: è necessario l’accertamento strumentale
19 Dicembre 2019: “Colpo di frusta”, la Cassazione cambia rotta: è necessario l’accertamento strumentale 19 Dicembre 2019

Con l’ordinanza n. 32483/2019 (Presidente: Amendola – Relatore: Gianniti), pubblicata il 12 dicembre 2019, la Suprema Corte è tornata a pronunciarsi in tema di danni da “micropermanente” e, in particolare, di quelli causati da “colpo di frusta”.
La Corte ha confermato una sentenza del Tribunale di Enna che aveva rigettato la domanda di risarcimento del conducente di un veicolo tamponato, asserendo che questa decisione avrebbe fatto “corretta applicazione dei principi” affermati dalla sua “ormai consolidata giurisprudenza”.
Ma, in realtà, si è decisamente discostata dai propri precedenti in materia.

Il suddetto conducente aveva adìto il Giudice di pace di Nicosia (anche) per ottenere il risarcimento del danno biologico da invalidità permanente, sulla base di una perizia di parte che gli attribuiva il 3% di invalidità, mentre il fiduciario dell’assicuratore convenuto gli aveva invece riconosciuto un 2%.
Respinta la domanda in primo grado, essendo stata accolta un’eccezione di transazione proposta dalla convenuta, tale decisione era stata confermata in appello, seppur con diversa motivazione, e cioè perché ritenuta infondata nel merito.

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del danneggiato, dopo aver dettagliatamente esaminato la motivazione addotta dal Tribunale.
Questi era partito dalla constatazione per cui in Pronto soccorso era stata posta diagnosi di “cervicoalgia post traumatica e trauma alla spalla sx” con prognosi di 10 giorni e successivamente era stato prescritto di mantenere il “collare” per altri 7 giorni.
Ed aveva rilevato la “lievissima entità delle lesioni refertate”, osservando che “l'esistenza obiettiva di una lesione non basta per ritenere esistenti postumi permanenti, posto che "danno" in senso giuridico non è la lesione del diritto, ma il pregiudizio che ne è derivato"; e che "danno biologico può ritenersi soltanto quelle compromissione dell'integrità psicofisica che sia suscettibile di essere accertata con criteri obiettivi e scientifici”.
Ciò che non poteva ritenersi avvenuto nel caso specifico perché in conseguenza delle suddette lesioni non si era verificata “alcuna limitazione funzionale a carico del collo e della spalla sinistra”.
A sostegno di tale conclusione il Giudice d’appello aveva rilevato che la documentazione clinica prodotta dal danneggiato era irrilevante perché “a) si basava esclusivamente sulle dichiarazioni della vittima e sulla sintomatologia dalla stessa riferita; b) "il lungo periodo di prognosi concesso successivamente al Gentile dai medici di fiducia" contrastava con "la modesta entità del quadro clinico descritto in Pronto Soccorso"; c) non era accompagnata da "necessari accertamenti clinici strumentali in grado di rilevare l'esistenza di postumi invalidanti a carattere permanente"”.

La Cassazione ha ritenuto incensurabile la decisione assunta sulla base di queste argomentazioni, approvando la rigorosa interpretazione dell’art. 139 c.d.a. (nel testo modificato dall’art. 32 della legge n. 27/2012) adottata dal Tribunale.
La Corte, come detto, ha esordito sostenendo di volersi porre in linea di continuità con i propri precedenti in materia, secondo i quali “l'accertamento della sussistenza della lesione dell'integrità psico-fisica deve avvenire con criteri medico-legali rigorosi ed oggettivi”.
Da tale assunto però ha dedotto che, per quanto “l'esame clinico strumentale obiettivo non è di per sé l'unico mezzo probatorio utilizzabile per riconoscere la lesione a fini risarcitori”, tuttavia esso diviene tale “ogniqualvolta si tratti, come per l'appunto è stato ritenuto nel caso di specie con ampia e argomentata motivazione, di una patologia, difficilmente verificabile sulla base della sola visita dal medico legale”.
Nel caso specifico, quindi, per la Corte assumeva decisiva rilevanza il fatto che “il ricorrente, nell'articolare la sua richiesta per danni permanenti, non risulta aver prodotto esami strumentali che avrebbero potuto essere oggetto di una valutazione obiettiva”.
In difetto di esame strumentale, quindi, la domanda di risarcimento riguardante i postumi permanenti derivanti da una simile lesione (quella connessa alla diagnosticata “cervicoalgia”) non poteva essere accolta.
Il che significa che equivale ad affermare che, di norma, in assenza di tale accertamento strumentale il danno conseguente alla suddetta lesione non può reputarsi provato e, quindi, non può essere risarcito.
Quello così affermato è, quindi, un principio ben diverso, per non dire di contenuto contrario a quello enunciato nei succitati precedenti.
A ben guardare, di un simile orientamento può rinvenirsi traccia solamente in Cass. civ. n. 1272/2018, secondo la quale, pur dovendosi affermare che la norma posta dall’art. 139 “va interpretata… nel senso, come detto, di imporre un accertamento rigoroso in rapporto alla singola patologia”, si dovrebbe tener “presente che vi possono essere situazioni nelle quali, data la natura della patologia e la modestia della lesione, l'accertamento strumentale risulta, in concreto, l'unico in grado di fornire la prova rigorosa che la legge richiede. Tale possibilità emerge in modo palese nel caso in esame, nel quale si discuteva di una classica patologia da incidente stradale, cioè la lesione del rachide cervicale nota volgarmente come colpo di frusta. È evidente che il c.t.u. non può limitarsi, di fronte a simile patologia, a dichiararla accertata sulla base del dato puro e semplice - e in sostanza non verificabile - del dolore più o meno accentuato che il danneggiato riferisca; l'accertamento clinico strumentale sarà in simili casi, con ogni probabilità, lo strumento decisivo che consentirà al c.t.u., fermo restando il ruolo insostituibile della visita medico legale e dell'esperienza clinica dello specialista”.
Mentre nelle decisioni successive si era finiti per affermare che l’art. 139, come modificato dall’art. 32 della l. n. 27/2012, non sarebbe “una norma precettiva” e si limiterebbe a richiedere un accertamento del danno secondo i “criteri medico-legali fissati da una secolare tradizione” (Cass. civ. n. 31072/2019).
Quindi, la portata innovativa dell’ordinanza n. 32483/2019 appare assai evidente.

Questa è resa ancor più evidente dal fatto che la Cassazione ha rigettato pure il motivo di ricorso con il quale
il ricorrente aveva censurato la sentenza del Tribunale perché non aveva disposto una c.t.u. medico-legale, pur da lui richiesta.
La corte ha, invero, ha osservato che “alla luce degli aspetti normativi affrontati in sentenza, il giudice di appello ha implicitamente correttamente ritenuto di non dover disporre consulenza tecnica d'ufficio (peraltro demandata al suo insindacabile apprezzamento: cfr., tra le tante, la sent. n. 20626/2016 di questa Sezione), avendo questa la finalità di coadiuvare il giudice nella valutazione di elementi già acquisiti (e non di supplire a eventuali deficienze delle allegazioni delle parti: cfr., sempre tra le tante, la sent. n. 1299/2014 di altra Sezione di questa Corte)”.
Con ciò affermando che, in pratica, in assenza di accertamento strumentale della lesione, non è giustificato nemmeno l’esperimento di una CTU medico-legale, poiché questa non potrebbe surrogare l’assenza della prova dei postumi che può derivare solo da quell’accertamento.

Da ultimo, la sentenza ha affermato esplicitamente che al caso deciso doveva farsi applicazione della “legge n. 27/2012”, laddove questa aveva modificato il testo dell’art. 139, benchè il sinistro fosse avvenuto (nel 2008) precedentemente alla sua entrata in vigore.
Con due conseguenze.
La prima, esplicitamente affermata dalla Corte, per cui “alla luce della nuova normativa, sarebbe stato… onere [del ricorrente] produrre esami diagnostici per immagini del rachide cervicale a sostegno della domanda risarcitoria proposta”.
Così vieppiù mostrando di ritenere che tali “accertamenti strumentali” siano indispensabili in caso di danno “da colpo di frusta” (assunto questo che si pone in palese contraddizione con quanto asserito poco prima in merito al fatto che “la legge n. 27/2012… nulla ha aggiunto al senso e al valore del testo precedente dell’art. 139”).
La seconda conseguenza, rimasta implicita, ma evidente, è che la Corte non ha affrontato (anche in questo caso, come negli altri suoi precedenti) la questione relativa al contenuto (ancor più rigoroso) dell’ulteriore modifica del testo dell’art. 139 introdotta dall’art. 1, comma diciannovesimo della legge n. 124/2017.

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